Riflessione del dott.Francesco Vitrano.I bambini e i social,le prevenzioni dopo la tragedia
Inserito il 23 gennaio 2021 da Maria Rosa DOMINICI
Pubblico con immediatezza la riflessione del dott.Francesco Vitrano perchè profondamente vera,sensibile amara,piena di quel dolore e di quella consapevolezza che anche in questo caso,in un mondo adulto non ha potuto intervenire prima,ma solo dopo a tragedia accaduta.
Che i minori,i figli,i nipoti siano spesso immersi in una realtà quasi gelatinosa,di cui noi adulti non ci rendiamo conto è frequente ,a maggior ragione in questo periodo in cui i “grandi” hanno le stesse paure e soffrono le stesse limitazioni dei piccoli cosiche l’uno non può aiutare l’altro.Siamo in un contesto pandemico che indebolisce sempre di piu la fasce deboli,anziani e giovani,siamo in un momento epocale in cui si costruiscono cordoni ombelicali con strumenti senz’anima,etica e cuore…e la macchina tecnologica ha la supremazia sulla sensibilità umana.
Ringrazio questa magnifica riflessione piena del cuore e,della sapienza e dell’esperienza del dott.Francesco Vitrano,ecco ciò che ha scritto oggi su FB,un social e spero che lo leggano in molti,grazie ,un grande abbraccio@
“La storia della bimba deceduta dopo aver emulato un comportamento appreso sui social, colpisce e nel contempo ci costringe a riflettere.
Il primo pensiero non può che andare a questa bambina e ai suoi genitori, non possiamo esprimere riflessioni su nessun evento senza tener conto delle persone coinvolte e delle loro sofferenze e se le emozioni sono una chiave di lettura degli eventi, da questo dolore ognuno di noi dovrebbe apprendere.
La seconda riflessione non può che insistere su questo momento che stiamo vivendo. M. Benasayag, alcuni anni fa scrisse che siamo in un periodo in cui le persone di minore età i giovani adulti sono immersi in una epoca di “passioni tristi”, poichè non hanno più certezze, dobbiamo affermare che quello che ci sta coinvolgendo oggi non solo ha distrutto le nostre sicurezze, ma ci ha messo a confronto in maniera assolutamente diretta e repentina con la paura che noi stessi e tutto quello che ci sta attorno possa finire e morire da un momento all’altro.
Come abbiano reagito a questo senso di morte incombente? Alla paura di scomparire d’improvviso?
All’assenza degli altri? Alla scomparsa di mille semplici azioni che sostenevano la nostra vita di relazione e il nostro tempo libero? Come abbiamo aiutato i nostri figli a comprendere tutto ciò?
Abbiamo immaginato che “esistere” significhi “funzionare” e in un periodo in cui nelle relazioni interpersonali si è cancellata la “prossimità”, quella stessa prossimità che ci aiuta nel divenire del nostro sviluppo a costruire la nostra identità, abbiamo fatto finta che funzionare, seppure senza relazioni, potesse comunque garantirci l’illusione di continuare ad esistere. Così ci siamo immersi passivamente e repentinamente nella scuola senza scuola, nel lavoro senza uffici, negli incontri senza contatti, nella quotidianità senza vita in una posizione in cui solo continuare a funzionare potesse darci certezze e sicurezze. Dobbiamo riflettere su questa nuova solitudine e sui suoi effetti su ciascuno di noi, anche solo per non dimenticarcene in un futuro prossimo. In questa prospettiva gli adulti e soprattutto i minori hanno pensato che colludere con i social, ricevere like o commenti di apprezzamenti fosse un buon modo di superare la paura di annichilirsi, hanno immaginato che l’intimità con gli altri presenti sui social, o come direbbe Bauman l’”estimità” che i social ci consentono di vivere con gli amici virtuali, fosse un modo per superare le paure e per illudersi che nulla fosse cambiato. Comprendo come tutto questo sia stato incentivato dalle attuali necessità, ma non possiamo, però, non considerare che ad una quotidianità strutturata sulla coesistenza di relazioni reali e virtuali, siamo passati d’improvviso in una dimensione in cui queste ultime sono diventate uniche e totalitarie. I social non costruiscono ne sostengono le identità, non facilitano le individualità, non costruiscono relazioni interpersonali, danno solo effimere certezze intrapsichiche e, così, la quotidiana sfida adattativa è diventata sulle piattaforme la spasmodica ricerca di chi riesce, inventando di proprio o imitando gli altri, a realizzare contenuti che possano funzionare nella rappresentazione e nel gradimento degli altri come se questa fosse l’unica possibilità di “esserci”. A questo meccanismo a cui anche noi adulti siamo esposti, appaiono particolarmente vulnerabili i minori che imitano, emulano, rappresentano, assumono, assorbono con assoluta leggerezza, comportamenti e sfide che seppure nella loro vacuità si sorreggono e si diffondono sulla acritica gratificazione degli altri. Non voglio con questa breve riflessione demonizzare il mondo virtuale, ma rappresentare come questo sia uno strumento complesso, e che come ogni complessità debba essere governato e significato con attenzione, soprattutto in relazione ai possibili pericoli. Questo rimanda alla necessità che soprattutto i minori, che come detto per il semplice fatto di essere delle identità in divenire manifestano delle fragilità, devono essere aiutati dai genitori a significare l’uso di questi strumenti, genitori che devono controllarne il quotidiano utilizzo da parte dei figli. Infine se ogni individuo, ogni famiglia è inserita in un contesto sociale e relazionale, non possiamo non immaginare una responsabilità collettiva di ciascuno di noi per far si che anche in questo periodo difficile possa essere possibile trovare una linea mediana tra le necessità di salute e le altrettante necessità di relazione. Si muore infatti, allo stesso modo di Covid, come di solitudine. Questo solo per sperare che quando tutto finisca non torneremo ad essere come prima, dimenticando ciò che abbiamo vissuto, ma che saremo capaci di apprendere e valorizzare, per contrasto, tutti quegli elementi vitali che scaturiscono dalla prossimità nella relazione.”
Francesco Vitrano